31 agosto 2011

RECE//"Le cose di cui sono capace"



Non sono imparziale, ma ci sono cose che vanno dette, tipo che 'sto libro è un gioiello.

Non sono imparziale perché Alessandro Zannoni ("Biondo 901", "Imperfetto") è un amico, perché attinge a piene mani da un universo narrativo (quello del pulp jimthompsoniano e dell'italoamericanismo johnfantiano) che ingurgito da sempre e che ho marcato a fuoco vivo dentro di me, e perché con me Zannoni sfonda un casino di porte aperte. Ma tante.

Il termine sfondare pare opportuno per parlare brevemente di un romanzo nel quale il protagonista Nick Corey (Nicola Coretti all'anagrafe), sceriffo sociopatico con troppe macchie e molte paure, prende i combinaguai di paese e se li incula. Letteralmente. Niente cella per una notte: cazzo in culo e camminare, l'antifona è più diretta.
Corey è uno che agisce, e che aggiusta ciò che non torna, così si trova fra l'incudine (l'amico Rudy) e il martello (la sua ex Stella) in una situazione intricata e paradossale che srotola la metafora e lo stereotipo dell'"uomo di legge senza morale" fino a palesare la realtà come parodia di sé stessa, in una storia che, sganciandosi dagli stereotipi, si tramuta in originale, più cattiva e scioccante di quanto il lettore si aspetti. 
Parodia di un genere, insomma: parodia seria di settant'anni di pulp.


"Le cose di cui sono capace" (Perdisa Pop, 2011) è un romanzo d'accusa vero e proprio contro la situazione editoriale italiana, schiava di una letteratura commerciale e di storie stereotipate fino all'inverosimile; accusa contro l'american way of life; accusa contro l'idiozia americana che tanto l'Italia e il mondo intero sembrano voler imitare e da cui l'italoamericano protagonista si distacca in toto: lui odia praticamente tutto ciò che lo circonda, e a ragione.
Ma è anche l'atto d'amore più puro dai tempi di "Kill Bill" di Tarantino, lì verso l'oriente e il suo cinema, qui verso il "nero americano" (quello vero e cattivo, che ti rivolta le viscere rimestando nella parte più buia di te). Dal punto di vista formale, medium e "genere" diversi a parte, il secondo non ha nulla da invidiare al primo: la scrittura è corposa, densa, figurativa e movimentata. La narrazione è introspettiva all'estremo (quasi una soggettiva spietata dell'essere sé stessi e non poterne scappare) e fra le righe, porca di quella troia, c'è la vita vera. Cioè, io ce l'ho letta, davvero. 
Poi c'è Thompson, si è detto, e tutto l'amore che si può provare per lui. Io c'ho trovato anche tanto Fante, soprattutto nel finale. Ma c'è anche Zannoni, che é parecchio più duro. E' questo che fa la differenza.


Ve l'ho detto che non sono imparziale, ma quando leggerete questo libro capirete anche voi perché. 
Fidatevi.

"[...] Invece faccio di tutto per inventarmi una vita felice."
Nick Corey

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