25 maggio 2014

Due parole su lune e quant'altro.


Quando racconti qualcosa ci sei dentro. Ci sei davvero, in pieno, totalmente. 
Vivi in quel mondo che stai raccontando, e ti ci muovi con le sue regole, respiri la sua aria.

Ho lavorato a MOONED incessantemente da febbraio 2012 a marzo 2014. Incessantemente vuol dire: ogni giorno. Più di settecento giorni sopra una piccola lunetta persa nello spazio. 
E non è l’unica cosa che ho fatto in questo lasso di tempo, e nemmeno l’unica storia che ho raccontato. Però, non appena la testa era libera, non potevo fare a meno di ritrovarmi lassù. E mi piaceva.

MOONED all’inizio era uno sbaglio: una sceneggiatura brutta e stupida per un racconto breve. Gli insulti dei colleghi dell’allora appena nata Mammaiuto (“hai il motore di una Ferrari e ci scoreggi in cortile”) e un consiglio buttato lì dal Trinchero, mentre ci urlavamo addosso su Skype (“ma fatto così è una puttanata, qui ci starebbe la camera fissa”) e BANG, era fatta, avevo capito: avrei raccontato una storia di pseudofantascienza, una serie per web a strisce, godibile a pezzi ma ancor più nella sua interezza; che fosse anche una riflessione sulla condizione umana e universale di ignoranza e fragilità; un’esplorazione della fantasia e del medium fumetto; un viaggio leggero nell’inutilità della speranza e della solitudine.
Tutto fu calcolato al millesimo e la storia si è svolta alla perfezione, secondo i piani.
Bello, eh?

Cazzate.
MOONED è stata una continua sterzata in quello che la realtà mi propinava giornalmente e che io vendevo, rimpastato, ai lettori di Mammaiuto.it su un bancone appositamente lucidato.
Ho messo così tanto di me dentro la serie, così tanti pensieri e desideri e tensioni e paure ed epifanie e mancanze ed esperienze, da non riuscire più a distinguere nettamente chi era alla guida del carrozzone.
Col senno di poi, sembra quasi che sia venuto tutto fuori da sé: per quanti piani, progetti e riscritture facessi, Rico, la luna e Malzy andavano per i cazzi loro. Non volevano farsi imbrigliare. Era come se le venti vignette che compongono ogni tavola fossero già lì, incise sui fogli, salvate su Photoshop, pronte per essere messe sul web.
Nonostante tutto, è stata una faticaccia.

In questi due anni ho vissuto di tutto. Di tutto, credetemi. Come ha potuto questo non cambiare in corsa la storia e ciò che volevo dire con essa, se ne facevo parte ad un livello così reale?
Be’, secondo alcuni lettori la serie racconta l’incapacità per l’uomo di imparare.
Secondo altri, è un’archivio anarchico e inconsapevole di nozioni metanarrative.
Secondo altri rappresenta la mia condizione di staticità psicofisica, un modo di esorcizzare blocchi e catene di cui non posso liberarmi nel reale.
Ognuno ci ha letto e visto un po’ quello che voleva.

Ora vi dico come la vedo io, in breve: Rico è il Presente; Malzy il Futuro e la luna il Passato, l’insieme di tutte le esperienze che portano un uomo ad essere quello che è.
Oppure: Rico è la Vita; la luna la Morte e Malzy la Speranza.
Oppure ancora: Rico è la Paura; Malzy è la ricerca della Verità e la luna è la Terra, la rugginosa bugia da cui non possiamo scendere.
Bello, eh?

Cazzate, Di nuovo.
MOONED è tutto quello che volete. E’ roba vostra, non mia. Una volta uscita dalle dita questa è tutta roba vostra, se vi piace. E io un po' ci spero.

MOONED è, a conti fatti, quello che avrei voluto che fosse. Giuro.
E non lo sarebbe potuto diventare senza i Mammaiuti, che mi hanno tenuto sulla retta via, con i loro calci nel culo e le loro pacche sulle spalle.
Grazie a chi l’ha letto, a tutti quelli che hanno sostenuto la serie e si sono affezionati a Rico e al suo folle mondo.
Grazie a chi ha comprato i libri, a chi ci ha voluto per forza un mio disegno.
Grazie a chi ha messo la matita e il cervello al servizio di Ferris e soci.
Grazie a chi mi ha aiutato, standomi vicino, a portare MOONED a termine e ha dato spunti e idee senza chiedere nulla in cambio.

Mi mancherai, Rico Ferris. 
Bon voyage.


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